martedì 20 marzo 2012

Ecologia Profonda: storie di masochistico antropocentrismo

Deep ecology ( “ecologia profonda”), cioè la ricerca dello spirito delle cose in una società che, portando l’uomo a concentrarsi su un materialismo esasperato, gli ha tolto la capacità di vivere la sua parte spirituale a contatto con la madre terra. Quindi, per tornare a capire quali sono i valori reali delle cose, l’ecologia profonda è convinta che l’uomo debba prendere esempio dai propri antenati e dalle popolazioni meno progredite. Fondamentale è riportare l’uomo verso il giusto processo di maturazione naturale rimuovendo le forzature del sistema educativo e dei modelli culturali egocentrici promosse dai mass media.

Esistono in Italia numerose iniziative che divulgano i principi dell’Ecologia Profonda e li applicano nella società e negli stili di vita personali. Il movimento intende aggregare i vari soggetti, Associazioni o Persone singole, che si riconoscono nei principi della Ecologia Profonda, in modo da rendere sinergiche le diverse attività e costituire un punto di incontro non solo filosofico ma anche umano.  L’Ecologia Profonda (o Ecosofia) è un movimento filosofico e di pensiero, una visione del mondo che richiede un profondo rispetto per tutti gli esseri senzienti (e quindi anche gli ecosistemi) e per tutte le relazioni che li collegano fra loro e al mondo cosiddetto “inanimato”. Non assegna alla nostra specie un valore distaccato e particolare, ma la considera completamente parte della Natura. Vede la Terra come l’Organismo cui apparteniamo. Il fondatore del movimento in Occidente è stato il filosofo norvegese Arne Naess, che usò il termine per la prima volta in un articolo del 1972 (The shallow and the deep).

Sono caratteristiche dell’Ecologia Profonda:

- Una visione sistemica del mondo, il riconoscimento della sacralità della Terra e della Vita e del diritto ad una vita degna per ogni essere senziente;

- La necessità di non spezzettare l’universale, di considerare l’aspetto sistemico globale e di evitare di cadere nei dualismi tipo mente-materia, Dio-il mondo, uomo natura e simili; Bisogna adottare una visione olistica, ossia che l’intero è più della somma delle sue singole parti.

- Vede l’ecologia come il sentimento profondo che ci dice che tutto è collegato, che non possiamo danneggiare una parte senza danneggiare il tutto, che facciamo parte di un unico Organismo (l’Ecosistema, o la Terra) insieme a tutti gli altri esseri viventi: il primo valore è il benessere dell’Ecosistema, da cui consegue anche quello dei componenti, e quindi il nostro.
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L'olismo (dal greco όλος, cioè "la totalità") è una posizione filosofica basata sull'idea che le proprietà di un sistema non possano essere spiegate esclusivamente tramite le sue componenti. Relativamente a ciò che può essere chiamato "olistico", per definizione, la sommatoria funzionale delle parti è sempre maggiore/differente della somma delle prestazioni delle parti prese singolarmente. Un tipico esempio di struttura olistica è l'organismo biologico, perché un essere vivente, in quanto tale, va considerato sempre come un'unità-totalità non esprimibile con l'insieme delle parti che lo costituiscono. 
Questo concetto filosofico elaborato da Arne Naess nel 1973, noto sostenitore della nonviolenza, del pluralismo e dell'ecologia; ha trascorso buona parte della sua vita nella baita Tvergastein, sulla cima del monte Hallingskarvet, in Norvegia. È stato anche un alpinista di fama, guidando la prima ascensione al Tirich Mir (7708 m), nella catena dell’Hindu Kush. In un articolo diventato famoso, ha teorizzato l'importante distinzione tra ecologia superficiale e profonda. Ha ricevuto vari premi internazionali tra cui il Premio Sonning per il contributo alla cultura europea e il premio Gandhi per la non violenza nel 1994. È stato il primo ad utilizzare il termine ecosofia, il cui concetto è stato ampiamente sviluppato da filosofi come Raimon Panikkar e Félix Guattari. La sua idea si colloca in una posizione mediana tra l’antropocentrismo e il biocentrismo. Infatti, l’antroponcentrismo vede l’uomo come arbitro di ciò che è buono e di ciò che è, al contrario, cattivo. Non importa se al mondo c’è qualcuno o qualche cosa che può avere degli interessi, possa prosperare o deperire. E’ l’uomo che decide sempre come deve comportarsi e, quando sente la necessità di cambiare il suo atteggiamento nei confronti della natura, lo fa a meri fini utilitaristici. 

 «Life is fundamentally one. The deep ecology movement is the ecology movement which questions deeper. The adjective 'deep' stresses that we ask why and how, where others do not.»  
(Arne Naess, who coined the phrase 'deep ecology' in 1972)

Il biocentrismo, al contrario, ritiene che la natura sia dotata di un “valore intrinseco” indipendente dall’uomo; quindi, considera l’antropocentrismo totalmente inadeguato, interrogandosi sulla sua liceità etica e si chide se, ad esempio, sia sufficiente una “saggia amministrazione” per risolvere i problemi ambientali od occorre fare qualche cosa di più? 
La volgarità della concezione antropocentrica dell’ambiente è di totale evidenza, poiché le fanno difetto caratteristiche come rispetto, responsabilità, diritti, conservazione, sostenibilità. Sono questi piccolissimi spunti di filosofia ambientale, cioè di quella disciplina del pensiero (affatto nuova se si pensa che Cartesio agli inizi del ‘600 pensava che gli animali fossero semplici oggetti sui quali era possible effettuare ogni esperimento) che si interessa di come l’uomo si rapporta con l’ambiente che lo circonda. Piccolossimi spunti che devono indurre una non più rinviabile riflessione su quali siano il nostro posto e il nostro ruolo nella natura. Per fare questo è necessario fare propri: i principi tecnici della scienza e dell’ecologia; la categoria comportamentale dell’etica e lo strumento programmatico della politica.  

Quale di questi dati è stato recepito (ad esempio) dalle emergenze dei rifiuti nel sud del Paese o nel “Codice ambientale” (Dlgs 152/2006)?  

Nessuno, si registra solo una paralisi ed una incertezza totali (per le emergenze si aggiungono non più quantificabili risorse economiche). Regole legali e principi filosofici non servono più o meglio servirebbero se qualcuno se ne ricordasse, e poi con altrettanta magia, riuscisse anche ad applicarle, invece di fomentare un clima di ignoranza globale, distorcendo l'oppinione pubblica, convogliando l'attenzione altrove; tutto sempre in adorazione del dio della società civile: il soldo, il cui unico comandamento e speculare innanzitutto! 






Già nei secoli a dietro l’uomo ha cercato di creare una classificazione tassonomica delle specie esistenti al mondo. Linneo, medico e naturalista svedese, provò già nel XVIII secolo a sviluppare una precisa tassonomia della vita sulla terra elaborando la nomenclatura binomiale, e certo non è stato l’unico nel corso del tempo. La scienza moderna sa ancora poco di una materia così importante quale la diversità biologica. Ad una domanda apparentemente semplice quale ''quante specie ci sono sulla terra?'', fino a poco tempo fa non sapevamo dare una risposta.

Addirittura non è nemmeno noto con esattezza il numero di specie conosciute, cioè quelle a cui è stato assegnato un nome e che sono state catalogate e registrate, poiché non esiste una lista standardizzata e riconosciuta a livello mondiale. Secondo le stime più accurate sarebbe esistiti circa 1,8 milioni di specie vienti. Tra queste, 370.000 sono piante, 4.500 mammiferi, 8.700 uccelli, 6.300 rettili, 3.000 anfibi, 23.000 pesci, 900.000 insetti e 500.000 appartengono ad altri gruppi tassonomici. Da questi numeri emerge chiaramente che nello studio delle specie una differente attenzione è stata dedicata ai differenti gruppi. In particolare, uccelli e mammiferi risultano conosciuti meglio di rettili, pesci e anfibi. Scarsissime sono invece le conoscenze su insetti, crostacei e aracnidi. Di batteri, poi, ne sono stati catalogati appena 4.000: essi restano materia sconosciuta principalmente a causa della stupefacente mancanza di ricerca rivolta a conoscere la loro diversità.







 I metodi adottati finora si sono basati su proiezioni nel futuro dei tassi di scoperta di nuove specie che si sono verificati nel passato; oppure su deduzioni logico-matematiche relative al numero di insetti presenti nella chioma degli alberi tropicali; o ancora sulla determinazione diretta della proporzione di specie non ancora scoperte all'interno di campioni di insetti prelevati in diverse regioni di foreste tropicali; o, infine, sull'esame delle relazioni esistenti tra il numero di specie di animali terrestri e le loro dimensioni corporee (taglia). I differenti approcci hanno portato a stime molto diverse del numero totale di specie esistenti sulla Terra: da 3 milioni a 30 milioni, fino a 100 milioni!
Il numero che si è arrivati a ipotizzare solo recentemente, è invece di 8,7 milioni di specie viventi: tra animali terrestri e marini, funghi e muffe, piante, organismi monocellulari, alghe. È il risultato a cui sono giunti cinque scienziati della Dalhousie University di Halifax, in Canada. Lo studio è stato pubblicato su Plos Biology  e guidato da Camilo Mora dell’Università delle Hawaii e Boris Worm della Dalhousie University di Halifax: è una esplicita accusa sulla nostra totale ignoranza in merito. I ricercatori hanno trovato un modo per stabilire il numero di specie esistenti. Sarebbe possibile individuare questo  numero partendo dai gruppi più elevati del sistema di classificazione tassonomica che divide gli organismi viventi in modo gerarchico secondo una piramide individuando specie, genere, famiglie, ordine, classe, tipo, regno e dominio. Questo modello è stato utilizzato prima con i gruppi di specie già studiati in modo specifico ed esaustivo quali mammiferi, pesci ed uccelli. 



L'86 per cento di tutte le specie viventi terrestri, il 91 per cento di quelle acquatiche, ci sono ancora sconosciute: attendono di essere scoperte, descritte e catalogate.  Da 1,2 milioni di specie effettivamente note, sono arrivati al totale di 8,7. Il loro metodo riscuote consensi da tutta la comunità accademica. Sul Washington Post una collega tedesca, la scienziata Angelika Brandt del museo zoologico di Amburgo, dichiara che la conclusione della équipe canadese è "molto significativa", e "coincide perfettamente con le scoperte empiriche fatte esplorando le profondità sottomarine, negli oceani dell'emisfero Sud". Il progetto sopracitato, è stato curato dal Census of Marnine Life ed ha avuto luogo nel corso di dieci anni; il gruppo di ricercatori, appartenenti ad ottanta nazioni diverse, si era proposto di classificare e quantificare le diverse forme di vita marine. Il 25% delle specie esistenti vivono appunto negli oceani e sono circa 2,2 milioni.



http://www.tellapallet.com/TreeOfLife.jpg
Esisterebbero, applicando il modello sopra-evidenziato  ai cinque regni degli organismi eucarioti, 7.770 mila specie di animali, 298.000 specie di piante, 611.000 specie di funghi, 36.400 specie di protozoi e 27.500 specie di Chromista. Nonostante diverse di queste specie siano state studiate molte altre rimangono ancora sconosciute, l’86% delle specie viventi approssimativamente. Esempio lampante sono le specie marine, sono state stimate in numero di 2,2 milioni ma la nostra conoscenza è pari all’11% di queste, circa 250.000 sono le specie conosciute. Quante specie popolano il nostro pianeta?  E soprattutto perché questo interrogativo risulta così fondamentale? Worm, curatore dello studio, commenta così: “Conoscere il numero delle specie che vivono sulla Terra è oggi più importante che mai, dal momento che numerose attività umane stanno accelerando notevolmente i tempi di estinzione e noi potremmo trovarci a perdere numerose specie prima ancora di sapere della loro esistenza e del loro potenziale contributo al miglioramento e al benessere umano”.

Robert May, scienziato di Oxford, sulla stessa rivista PLoS Biology spiega che il conteggio esatto delle specie non è una curiosità o una sorta di "hobby per collezionisti". La conoscenza delle specie ha avuto un ruolo fondamentale in agricoltura, come base per l'ibridazione e la creazione di specie più resistenti (per esempio un riso con raccolti superiori del 30%).

La tassonomia (dal greco ταξις, taxis, "ordinamento", e νομος, nomos, "norma" o "regola") è, nel suo significato più generale, la disciplina della classificazione. Abitualmente, si impiega il termine per designare la tassonomia biologica, ossia i criteri con cui si ordinano gli organismi in un sistema di classificazione composto da una gerarchia di taxa annidati.

http://www.eol.org/
Il calcolo degli 8,7 milioni non soddisfa solo una curiosità intellettuale. "Conoscere il numero delle specie viventi - scrive May - è importante per preservare la ricchezza biologica che abbiamo ereditato". Lo scienziato inglese osserva che "è una prova clamorosa del nostro narcisismo, il fatto che conosciamo il numero esatto dei libri (22.194.656) custoditi nella U. S. Library of Congress al primo febbraio di quest'anno, e finora non sapevamo con quante specie animali e vegetali coabitiamo sullo stesso pianeta". La colpa, almeno in parte, è delle "mode" e priorità che pilotano la ricerca scientifica. Da molti anni è la ricerca genetica [OGM?! n.d.t.] ad avere dirottato su di sé la massima quota dei finanziamenti, e di conseguenza anche il maggior numero di talenti. Gli scienziati specializzati nella tassonomia, che è appunto la classificazione degli organismi biologici, sono andati diminuendo perfino nelle più ricche istituzioni federali degli Stati Uniti come lo Smithsonian.


http://www.repubblica.it/ambiente/2011/08/25/news/nuova_arca-20839855/

http://olmo.elet.polimi.it/ecologia/dispensa/node65.html

http://www.scienze-naturali.it/ambiente-natura/ecologia-animale/quante-specie-esistono-al-mondo






Salviamo le balene.” “Salviamo il panda.” Ti è certo capitato di sentire frasi come queste, o di vedere queste scritte stampate su manifesti, magliette, libri. Che cosa succede a questi animali? Perché occuparci di esseri che vivono in ambienti tanto lontani da noi? E sono in pericolo anche animali che invece vivono accanto a noi? 
Almeno 33.000 specie di piante e 5.400 specie di animali sono a rischio di estinzione, rischiano cioè di sparire per sempre dalla faccia della Terra. Queste specie sono elencate nella Lista Rossa dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN), un’organizzazione internazionale che raccoglie informazioni sulle piante e gli animali del mondo. Le specie a rischio sono organizzate in categorie, le più importanti sono le seguenti:
•Vulnerabile: una specie ritenuta a rischio di estinzione allo stato selvatico.
•A rischio: una specie ritenuta ad alto rischio di estinzione allo stato selvatico.
•A un punto critico di rischio: una specie ritenuta ad altissimo rischio di estinzione allo stato selvatico.
•Estinta allo stato selvatico: una specie che sopravvive soltanto in cattività o all’interno di zone protette.
•Estinta: gli esperti sono ragionevolmente sicuri che gli ultimi esemplari (selvatici o in cattività) siano tutti scomparsi.
Soltanto per i mammiferi si ritiene che siano a rischio un migliaio delle circa 4.600 specie esistenti. Animali come le tigri, i rinoceronti neri, le foche monache e i cammelli sono tutti sulla lista delle specie in pericolo. 
 


Negli ultimi 30 anni il numero dei rinoceronti neri è diminuito del 95% e quello delle tigri che vivono libere in natura si è ridotto a circa 5.000 esemplari e del panda solo 1600. Considerando i soli vertebrati è minacciato circa il 23% (1.130 specie) dei mammiferi e il 12% (1.194 specie) degli uccelli, secondo l'IUCN (The World Conservation Union).

Gli animali a rischio di estinzione nel 2016




Perchè le specie stanno estinguendosi?

La biodiversità globale è in diminuzione più velocemente del tasso naturale di estinzione a causa di molti problemi e cambiamenti, in particolare depauperamento e distruzioni, nonchè sbilanciamento di interi ecosistemi e compromissione della biosfera da parte dell'azione erosiva dell'uomo quindi: sfruttamento sistematico delle terre (monoculture e prodotti chimici tossici), inquinamento degli oceani (usati come siti di stoccaggio per scorie nucleari o residuati bellici inesplosi) e nano-micro polveri metalliche solo per citarne alcune. La perdita di specie animali è inoltre causata dalla crescita continua della popolazione umana e di insostenibili stili di vita, dalla crescita dell'estensione delle aree urbane, dall'aumento della produzione di rifiuti e sostanze chimiche tossiche e dai conflitti.Non ci sarebbe possibile scrivere su ognuna delle centinaia di singole specie animali che sono minacciate nel mondo. Ci concentriamo su quelle che nel WWF definiamo "Specie bandiera": si tratta di specie molto note in grado di appassionare e diventare così  "ambasciatrici" di tutte le altre specie in pericolo, anche di quelle che solo pochi esperti conoscono.

http://it.wikipedia.org/wiki/Specie_a_rischio
Tra queste il panda gigante, la tigre, il gorilla, l'orso polare, l'elefante, il rinoceronte, animali simbolo delle specie in estinzione. La maggior parte delle specie, infatti, non si salverà con programmi specifici a esse dedicati (sono solo poche fortunate ad averceli!) ma con programmi di conservazioni di intere aree, di grandi aree: ad esempio, tutelando le aree dove la tigre vive ancora si salvano centinaia di altre specie animali e vegetali che vivono nella stessa area.

La vita sulla Terra ha avuto origine circa quattro miliardi di anni fa con i minuscoli organismi monocellulari da cui è poi sbocciata un'immensa complessità di specie viventi, di cui purtroppo oggigiorno non è rimasta che una minima parte. Innumerevoli specie sono apparse per poi scomparire attraverso cinque momenti di estinzione di massa (l'ultimo 65 milioni di anni fa) che il pianeta nel corso della sua vita ha dovuto affrontare, durante i quali è scomparso ben il 95% delle specie conosciute. Ma se è vero com'è vero che molte specie animali si sono estinte per cause naturali è anche vero che del futuro di molte di quelle ancora esistenti l'uomo ha una grandissima responsabilità. 

La distruzione degli habitat, il commercio illegale, il bracconaggio crescente, gli effetti dei cambiamenti climatici dovuti all'inquinamento e quelli dovuti a uno sviluppo economico insostenibile mettono sempre più in pericolo gli abitanti non umani del pianeta, che come noi avrebbero egual diritto alla vita. Una biodiversità dunque sempre più in pericolo, minacciata dall'azione poco rispettosa dell'uomo che, guidata da un progresso tecnologico senza controllo sta causando anzitempo quello che gli scienziati hanno definito il sesto evento di distruzione di massa che secondo le stime porterà alla scomparsa entro i prossimi cento anni di un quarto delle specie viventi.

E infatti già ora una percentuale preoccupante dei mammiferi più caratteristici del pianeta è in via di estinzione. Secondo il giudizio di insigni scienziati sono a rischio un terzo degli anfibi, un mammifero su quattro, e una specie di uccelli su otto, a causa soprattutto dei cambiamenti climatici e della distruzione degli habitat da parte dell'uomo. Ecco perché diventano importantissime leggi tese alla salvaguardia di tutte le specie animali in pericolo anche in quelle remote aree del mondo in cui per esempio per cultura o per tradizione, o semplicemente per mere ragioni economiche e commerciali, le popolazioni locali continuano a decimare le specie a rischio estinzione



«When we speak of Nature it is wrong to forget that we are ourselves a part of Nature. We ought to view ourselves with the same curiosity and openness with which we study a tree, the sky or a thought, because we too are linked to the entire universe.» Henri Matisse

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